SIAMO ARRIVATI, a dire vedi Piadena e poi ci torni…
(inviato da Daniele Crotti)
Eccoci.
Così il Micio all’inaugurazione della festa, la Festa, quella della Lega, quella di Cultura, quella di Piadena, quella del 2017, quella che festeggia i 50 anni – tra ufficiosi ed ufficiali (dodici più trentotto ci ha confessato il garibaldino Azzali) – della Lega di Cultura di Piadena, la cui sede è a Pontirolo, Drizzona, ma che in Piadena ebbe i suoi natali. Siamo al teatro, quello Comunale, quello di Casalmaggiore, quell’unico teatro – capiente sapiente accogliente – del circondario piadenese che possa contenerci.
Ma la festa è già cominciata. È cominciata a casa del Micio e del fratello Bruno – la cascina che fu della Genia e del Pierino – la sera medesima con i primi assaggi culinari della cucina già in piena attività, è cominciata la sera prima con i primi canti, è cominciata giorni e settimane avanti perché poco si può improvvisare, è cominciata da tanti anni, è cominciata da sempre.
Sul palco, ma che palco non è – anzi è palco di tutti per tutti -, Peter, a nome, oltreché suo personale, dei tanti tanti tanti (ne saranno stimati 2500 nel loro complesso, in questa ricca e inebriante tre giorni di “festa felice”) che da vicino e da lontano arrivano (l’Europa non basta più, sembra: una coppia ha raggiunto questa campagna padana sin dagli Stati, quelli Uniti dell’americanista Portelli), abbraccia i partecipanti, all’interno del teatro (ma è un teatro aperto, un teatro di vita e di vite, di storie, di lotte e di lavoro, di canti e di speranze), con la sua emozionante lettura che a parte viene riportata.
Via.
Il cronista potrebbe ora citare, elencare, o raccontare la successione dei gruppi che hanno cantato, suonato e narrato per questo compleanno, che celebra anche i 70 anni (a marzo) del Micio e gli 80 (già: ottanta!) del Giuseppe (ad agosto): la media è di 66.6 periodico (non male) per questa inscindibile tripletta, Legadicultura Azzali Morandi (che son poi un’unica cosa, e che cosa!). In poche parole: l’ironica rabbia canora dei Suonatori Terra Terra fiorentini; la giovanissima età dei Tenores Sirilò di Orgosolo (introdotti dal piccolo tamburino sardo, Maurizio, anima nuova de I Giorni Cantati), un legame, quello tra Piadena ed Orgosolo, che sa di vera umana amicizia e solidarietà); il duo di Calvatone ovvero Peto e Leo (a volte anche Leo e Peto), che omaggiano il papà Giulio Seniga e la mitica Genia, informatori fondamentali di questa tradizione musicale. E poi ci sono i portoghesi, i francesi, gli spagnoli, il bizzarro indiano Ashid (si scriverà così?), e poi ancora tutti insieme per lasciare il teatro e prepararci per l’impegno di domani, quello del sabato, ma c’è chi ancora canta e ricanta e non vorrebbe mai smettere.
Eccoci ora alla sala oratoriale piadenese con il caracollante Micio che stamattina si siede perché sarà spettatore ma che simpaticamente ordina di procedere. C’è il film di Kammerer che lo presenta (tranquilli, dice: dura solo 45 minuti): un filmato “a distanza” (di tempo ma non di spazio), però non è un “relitto archeologico” come Peter dice, no; è uno spaccato di vita vissuta per chiedere: “riconosci questo paese”? (quasi una citazione di Goethe che domanda dove e come eravamo “quando fiorivano i limoni”). Un paese, fulcro di una CULTURA, di una “cultura altra”. Da Marghera e Mira sino alla bassa cremonese, a Piadena, a Calvatone, a Pontirolo, qua: un racconto della metà anni settanta del secolo passato che racconta di operi e contadini e delle loro lotte e del cambiamento avvenuto, un raccolto filmato che di nostalgico ha ben poco, sì un velo di rancore, di tristezza, ma che provoca emozione ed ispira la voglia continua di cambiare. Bello, proprio bello. Ci voleva.
La pausa pranzo alla cascina Azzali è una “colazione di lavoro”, come si dice in gergo intellettuale, ma allietata dai francesi il cui sfogo canoro è quasi contagiante. Poi subito alla Sala Civica per la presentazione del nuovo “Muro di Piadena”, 1997 – 2017. L’oggi. Ce lo introduce Camerlenghi: il libro altro non è che la raccolta in “formato moderno” dei numerosi volantini/fogli volanti che distribuiti manualmente, nel tempo e questa volta anche nello spazio, sono stati, sono e dovrebbero essere il vero strumento di comunicazione: è così che può crearsi la base per un dialogo costruttivo. Il cronista ora non entra nel merito di quanto i vari Rebecchi, Tamino, Agostinelli, Portelli, Arrighetti, Bermani han detto. Una presentazione con un contenuto dibattito (ma esaustivi sono stati gli interventi; questo è vero) assai interessante, presentazione positiva e chiara. Cesare ha registrato tutto; chiedete a lui se volte saperne di più. Il cronista non può però esimersi dal puntualizzare alcune parole emerse che sottendono un insieme articolato ed esplicativo (mamma mia che brutte parole; se lo dice il cronista stesso). Ecco dunque: la VOCE UMANA, che è al centro del tutto. È fondamentale. Da qui il resto, dal “futuro che non ci può essere senza nostalgia”, alla “utopia” che potrebbe essere un fatto concreto (foss’anche solo onirico), al piacere dello stare insieme e festeggiare con cibo e vino (prodotti della nostra terra e del nostro lavoro) questi momenti di felicità, perché anche la felicità è cosa condivisa, condivisibile, è socialità e coesistenza (contro ogni forma di potere). Sarà stato bravo, perché attento, il cronista? E così, fuori della sala, gruppi spontanei canori hanno rallegrato e ravvivato chi ha preferito godere del bel pomeriggio di sole sopra il prato magnificamente colorato di margherite. Giusto anche così!
La sera del sabato ancora alla cascina del Micio per la cena che tutti sappiamo: sì, si mangia e si beve, ma sopratutto si canta, si balla, si canta e si ricanta, qua e là, liberamente, spontaneamente, piacevolmente. Che bello!
Eccoci, ed eccoci, alla festa grande, quella della domenica. La FESTA. Il cronista però termina qui la sua cronaca. Ora si dimentica pure lui di appuntarsi note, parole, frasi, idee, perché si immerge anche lui in questa festosa festa festiva festante perché anche lui si sente parte di questo incredibile mondo “altro”. Che giornata splendida amici e compagni.
Ore 19. Prende la parola il Micio al microfono. La parola consta di quattro parole: “dichiaro la festa finita”!
Ma la festa non è finita, prosegue, non finirà mai.
Daniele Crotti, PERUGIA