Nuovo film-documentario di Grabek Michael sul Micio che verrà presentato a Berlino domenica 9 novembre 2008. La festa comincia verso le 18.00 nella “Die Werkstatt der Kulturen”, la casa di cultura (in italiano forse: “laboratorio di cultura”) di Berlino che è una istituzione rappresentativa, conosciuta e abbastanza famosa a Berlino. www.mi-piaceva-lavorare.eu.
Lavoro e piacere
Micio lavorava volentieri, gli piaceva il lavoro nella stalla e , più tardi, nella fabbrica metallurgica. La conclusione storica individuale di Micio è quindi positiva. Nessuna traccia di euforia. La differenza tra “piacere” e “gioia e voglia”, però, poteva e può essere enorme.
Non bisogna cadere nell’equivoco di inserire il “mi piaceva lavorare” di Micio nel contesto della idealizzazione propria della fine del XVIII sec, e nutrita da Goethe nel suo “Viaggio in Italia”, secondo cui gli italiani, diversamente dai popoli del nord, lavorano non solo per vivere ma per godere. Questa interpretazione sarebbe per il Micio politico troppo prosaica. Tali mitizzazioni gli sono estranee, ma egli è tuttavia fiero del suo lavoro, fiero, come ogni lavoratore, delle proprie capacità e dei risultati produttivi della sua opera.
Micio non era il “padrone”, il proprietario dei mezzi di produzione, e il lavoro era spesso faticoso e “mica da ridere”, ma lui l’ha fatto comunque, e anche bene e con passione, così come aveva fatto suo padre lavorando nelle stalle come “bergamino”. Micio ha così tutti i motivi e il diritto di prendere il famoso articolo uno della costituzione italiana e di mettere letteralmente il dito nella piaga dei primi paragrafi (nell’articolo 4 si riconosce addirittura a tutti cittadini il diritto al lavoro!?), di ricordarne, 60 anni dopo l’entrata in rigore, “la scarsa applicazione” e di richiedere un nuovo, serio dibattito su di essa, che faccia scaturire delle conseguenze pratiche.
Non sogna più una repubblica di lavoratori ; ma che il suo Paese, la sua res publica sia fondata sul lavoro è semplicemente una verità che deve essere oggi più che mai riconosciuta, difesa e nuovamente discussa, a fronte di milioni di disoccupati, precari, forze di lavoro altamente qualificate, ma non adoperate e che rischiano pertanto di perdere le capacità acquisite.
Micio è cosciente dell’assurdità che in Italia da un lato venga conferito, da più di un secolo, il titolo di “Cavaliere del lavoro”, ma che non si sia in grado, dall’altro, di realizzare una politica economica moderna che abbia alla base lo sviluppo del lavoro. Esiste una singolare simbiosi tra culto degli eroi e mancanza di idee. Nella crisi si guarda ai “cavalieri”, agli “eroi”. Povero Paese, se ha bisogno di questa trasfigurazione, di questa esaltazione ideologica, penserà Micio. Uno che non detiene nessun titolo, ma che ha contribuito alla ricchezza dell’Italia. Di cavalieri del lavoro come Berlusconi lui può soltanto sorridere scuotendo il capo. Loro, i cavalieri, non hanno mai lavorato produttivamente. A Micio basta guardarsi le mani per ricordarsi di un’antica saggezza dei paisàn:
“Chi lavora si fa il callo
e non va mai a cavallo.”
Ciao Micio e ancora buon lavoro
Michael Grabek, Berlino